16/01/12

IL PARADOSSO DEL SANTO


Nella storia della Cristianità si sono sprecati i racconti e le pubblicazioni delle vite dei santi…dai più famosi a quelli meno…S.Agostino. S.Francesco, S.Teresa d’Avila, S. Giovanni della Croce ecc.

La cosa che maggiormente contraddistingue la “santità”cristiana dal “guruismo” orientale è che nelle spiritualità orientali viene sottolineata la divinità dell’uomo e il guru è normalmente considerato una “manifestazione” della divinità…mentre nella “santità” cristiana l’accento è messo sulla natura peccatoria dell’uomo e sulla “nullità” del peccatore di fronte a Dio. Mentre nella spiritualità orientale abbiamo che anche il maestro si ritiene un tutt’uno con il divino, nel mondo cristiano c’è invece la sottolineatura della distanza abissale tra l’uomo imperfetto e il Dio perfetto.

Perché? Sono davvero due mondi inconciliabilmente distanti? Dicono cose davvero diverse?

No.

La sostanziale differenza è che si usano espressioni opposte per dire la stessa identica cosa, ma come spesso accade, il linguaggio è ingannatore.

Nella spiritualità orientale c’è una presa di coscienza del fatto che l’evoluzione spirituale porti gradualmente a contatto con realtà spirituali sempre più elevate, e quindi questo si concretizza nell’assunzione di una vicinanza che poi in alcuni casi diventa fusione, con la divinità.

Il Cristianesimo invece, che parte dall’assunto che esista un Creatore esterno, un Assoluto, un Signore dell’Universo, porta a ritenere che le esperienze spirituali, peraltro simili a quelle del guru orientale, siano di provenienza divina e che Dio si manifesti in base alla umiliazione e purificazione spirituale del devoto.

L’approccio cristiano sembra apparentemente diminutivo ed umiliante del valore del devoto, e del credente in generale, rispetto alla glorificazione del guru in oriente,ma è solo cattiva osservazione ed ancora eccessiva fiducia nell’universalità ed oggettività del linguaggio.

Infatti la cosa che non viene mai considerata, è che il linguaggio è portatore di due caratteristiche di base: il significato oggettivo della parola usata e il suo portato emotivo, cioè il suo significato soggettivo.

Infatti se si considera ad esempio una frase come “io non valgo nulla”, la maggior parte delle persone ne avrà una percezione negativa e depressiva, soprattutto se tale idea è davvero presente nel subconscio della persona che l’ascolta.

Ma non di meno la percezione depressiva di una frase come quella citata, è dovuta alla generale percezione che sia necessario valere, e valere tanto, per sentirsi ”a posto”. Ma questo modo di intendere la propria persona è esattamente quel modo dualistico che viene così robustamente e costantemente additato dal pensiero orientale, il quale sottolinea, praticamente in tutte le tradizioni, che il dualismo bene-male va superato e cancellato EMOTIVAMENTE dalla propria mente.

Ma se riteniamo che non sia auspicabile pensare in termini dualistici, e sia necessario uscire dai concetti di bene e male, non dovrebbe disturbare più di tanto l’idea che pensare male o bene di se stessi non sia così importante, ma che sia invece importante quale “emozioni” concetti così opposti si portino dietro. Per dirla in una battuta: occorrerebbe essere assolutamente felici sia che si pensi di essere una nullità di fronte alla grandezza divina ( anche Sri Aurobindo lo pensava) sia che si pensi di essere parte stessa della divinità.

Questo significherebbe andare oltre il linguaggio ed oltre il dualismo.

Si può dire così.

Mentre l’Oriente parte dal basso per arrivare all’alto attraverso un processo di purificazione e conoscenza, l’Occidente cristiano parte dall’alto ( della superbia e dell’orgoglio, dell’alta considerazione di sé e della propria posizione nel mondo) per poi scendere, attraverso la devozione al Divino, alla bassezza della propria commiserazione. Questo lo fa diventare un percorso difficile, più difficile del primo, quello orientale, dove la miseria diffusa e il senso di precarietà hanno instillato un naturale senso dell’umiltà e quindi la scoperta della conoscenza spirituale colma le vallate dell’inadeguatezza e “rialza” lo spirito, mentre il secondo, quello occidentale, obbliga alla compressione dell’io fino al suo sgretolamento nella consapevolezza del peccato e dell’imperfezione, spianando le montagne dell’orgoglio. In entrambi i casi l’obeittivo è arrivare alla strada piana

Il punto di arrivo è lo stesso. La consapevolezza che l’io nulla può fare per mettere le cose “a posto” e che occorre Altro da lui..e che lui stesso deve eclissarsi per fare Posto alla Verità. Il vuoto mentale dell’Oriente è riempito dall’occidentale amore divino che in Oriente è vuoto e contemplazione. Illuminanti a questo riguardo sono gli scritti di S. Giovanni della Croce che danno un’idea evidente della vicinanza spirituale.

Per cui il paradosso di un santo cristiano che si considera peccatore è dato dal fatto che nel momento in cui egli ACCETTA questa sua condizione di ineluttabile inadeguatezza giungendo alla felicità nel suo essere una nullità, nello stesso momento se ne libera, sganciandosi dall’esito delle sue aspettative spirituali ed assurge, paradossalmente e senza accorgersene, al ruolo di “bodhisattva”.

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